Propensioni verticali
Dopo
una trentennale concordia culturale e politica intorno alla tematica
– e sovente alla retorica – della cosiddetta “democrazia
universale” e con l'emergere diffuso di una consapevolezza diversa,
originata dalle sfide poste dalla drastica crisi globale che ha
investito le fondamenta delle antiche economie occidentali, la
filosofia contemporanea inizia a riscoprire il concetto di
verticalità
e a interrogarsi sulla sua valenza non solo teoretica, ma anche
antropologica, politica e persino spirituale. In questa riflessione
sono coinvolti temi quali l'autorità,
il comando, il potere gerarchico, l'organizzazione; oppure il divino
e la ridefinizione della trascendenza
in società completamente secolarizzate; ma anche l'ascesa,
l'aspirazione a salire più in alto nel senso del perfezionamento
incessante attraverso una rinnovata enfasi sulla formazione continua,
sull'esercizio, sull'esigenza di una disciplina più rigorosa,
individuale e collettiva, sulla cura
di sé
interiore e fisica. Il caso forse più eclatante e fortunato in tal
senso è rappresentato dalla recente pubblicazione del libro di Peter
Sloterdijk, filosofo tedesco tra i massimi pensatori contemporanei,
intitolato Devi
cambiare la tua vita
(Raffaello Cortina, 2011), dove si analizzano le varie forme di
tensione verticale, virtuosa e corroborante, dall'allenamento fisico
all'esercizio filosofico e scientifico, passando per il repertorio di
pratiche ascetiche, spirituali, dietetiche e acrobatiche che
costellano le società di tutti i tempi e anche la nostra.
La dimensione verticale della realtà fisica e dell'esistenza umana, dunque, non può che coinvolgere in profondità anche la prassi e la riflessione dell'artista contemporaneo, talvolta lungimirante anticipatore di correnti spirituali latenti e ancora sotterranee, in procinto di affiorare alla superficie del discorso pubblico. Sono principalmente due le vie attraverso le quali la verticalità penetra nel mondo dell'arte. Anzitutto sul piano tecnico-formale: i formati verticali, infatti, instaurano un rapporto implicito con l'asse terra-cielo, in primis nella scultura, dove lo sviluppo verso l'alto si è da sempre imposto con giustificata e comprensibile naturalezza, ma anche nella pittura, dove l'influsso dell'orientamento e della disposizione sulla percezione e sulla semantica del dipinto è più sottile e talvolta inconsapevole. Il critico d'arte non può esimersi dal considerare la differenza radicale, forse ontologica, tra un formato quadrato o rotondo, uno rettangolare verticale e uno orizzontale, perché ciò rappresenta la geometria euclidea dell'arte, uno dei suoi punti d'avvio. La seconda via con cui la verticalità entra nell'arte, come vedremo, è il contenuto, il messaggio delle singole opere.
Una fiera di arte contemporanea come ArtVerona2013 offre l'opportunità unica di mettere alla prova tali categorie nel vivo della produzione realizzata sia da artisti ormai storicizzati sia da artisti giovani o addirittura emergenti. Quando si misura una categoria dotata di questo spessore teorico con la vastità e complessità di un “archivio” sostanzialmente “anarchico” come quello creato per un appuntamento fieristico, privo cioè di un iniziale vaglio curatoriale complessivo, ma poggiante sulla casualità creativa prodotta dal “mercato” dell'arte, nonché sul gusto e l'autonomia decisionale del singolo gallerista, l'esito è duplice: da un lato si può sondare la valenza analitica dell'arte contemporanea e dall'altro si può apportare un criterio ordinatore dentro la complessità estetica esposta. In quest'ottica, proponiamo di articolare il concetto di verticalità secondo tre grandi matrici.
La prima matrice esprime una verticalità chiusa, normalmente definita gerarchia e che di solito ha a che vedere con l'autorità, il potere supremo, il comando, di cui appunto è simbolo arcaico. Qui l'asse verticale affonda le sue radici nel suolo, nel tellus, mentre un vertice chiude la sommità, dove di norma si concentra lo sguardo dello spettatore. Tale apice superiore è distante, isolato, staccato dal restante mondo sottostante, con cui non intende condividere nulla, benché vi poggi indiscutibilmente le proprie fondamenta. Lo si vede con estrema chiarezza nella straordinaria rielaborazione cui Dina Goldstein sottopone la celebre fiaba di Hans Christian Andersen (La principessa sul pisello, 1835) oppure nella posa ieratica attribuita da Giorgio De Chirico all'enigmatica figura del Grande Metafisico (1971). Anche nel fleximofono appeso al cielo di Piero Fogliati, caratterizzato da un'aerea verticalità, lo sguardo o, meglio, l'udito converge verso l'alto, poiché il suono si produce lungo tutto lo sviluppo della struttura, ma risuona unicamente nella cassa armonica posta in cima. Chiuso totalmente in se stesso e nella sua statuaria, greve armatura bronzea e psicologica, fatto di blocchi monolitici sovrapposti che, come profonde cicatrici lasciate dal tempo e dalle battaglie, gli conferiscono austerità e solidità, isolandolo dall'ambiente circostante, è invece il Capitano di ventura di Guido Pinzani (1972), la cui sola presenza domina e intima. Il rapporto tra alto e basso, sopra e sotto, può essere esplorato, inoltre, nella cornice di un paradosso filosofico e percettivo spesso inavvertito: perché chi ha più peso sta più in alto? L'interrogativo, di chiara derivazione etologica, trova un'illustrazione ironica nei palloncini litici di Enzo Guaricci e gioca di rimando con i lavori di Michelangelo Barbieri, estremamente delicati ed eleganti. Qui peso e leggerezza diventano cifre contro-intuitive della verticalità: palloncini di pietra fluttuano nell'aria ancorati al suolo per non volare via, mentre candide piume sorreggono gravi di ferro, campioni di peso. L'archetipo perfetto di questa matrice è però, ovviamente, la piramide, di cui Nanda Vigo ci offre (nel 1978) una rielaborazione al neon: nell'antico Egitto, il faraone non è soltanto il luogotenente di Dio in terra, ma è Dio stesso, con cui coincide. I suoi ordini discendono senza soluzione di continuità lungo tutta la nervatura della piramide sociale, mentre la venerazione sale di strato in strato, di livello in livello, fino in cima.
Dina Goldstein, The Princess and the Pea (Fallen Princesses), 2011
56x86 cm, Ed. 5 di 10 courtesy Galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter, Milano ArtVerona pad. 11, stand G18 |
Giorgio De Chirico, Il Grande Metafisico, 1971 olio su tela 80x60 cm courtesy Mazzoleni Galleria d'Arte, Torino ArtVerona pad. 10, stand A6-C5 |
Piero Fogliati, Fleximofono, 1967-2002 ferro, molle 28x28x270 cm courtesy artesilva, Seregno (MB) ArtVerona pad. 10, stand E4 |
Guido
Pinzani, Capitano di Ventura, 1972
bronzo,
102x22x20 cm
courtesy
Galleria Open Art, Prato
ArtVerona
pad. 10, stand C7
|
Enzo
Guaricci, Voglio volare!, 2011
polvere
di marmo resina e pigmenti naturali, dimensioni reali
courtesy
Eidos Immagini Contemporanee, Asti
ArtVerona
pad. 10, stand C8
|
Michelangelo
Barbieri, Città
Sospesa
courtesy
l'artista e Galleria Forni, Bologna
ArtVerona
pad. 10, stand D7
|
Nanda
Vigo, Frammenti
di Riflessione,
1978
courtesy
Galleria Allegra Ravizza, Lugano e Maab Gallery, Milano-Padova
ArtVerona
pad. 11, stand G5
|
Quando però manca un vertice, e l'asse verticale è sfondato, privo di sommità, entriamo nella seconda matrice della verticalità, contraddistinta dalla tendenza a raggiungere un'ulteriorità, una dimensione più alta, extra-mondana, con la quale ci si inoltra nel dominio teologico-religioso dell'aspirazione mistica, conoscitiva o soteriologica al divino. È il caso dei boschi “mistici” di Ettore Frani (2013) o dei marmi di Pablo Atchugarry (1998), slanciati verso un cielo, popolato o meno. La Camera Spaziale di Eliseo Mattiacci, invece, mostra come, anche ricorrendo a supporti marcatamente materici, si possa comunicare un analogo sentimento di proiezione spirituale. Analogamente, l'Alta Tensione alla quale rimanda Bruno Munari (1990) sembra inscriversi delicatamente non solo in un orizzonte tecnico, dominato da tralicci e centrali elettriche, ma proprio in un discorso pseudo-religioso sulla verticalità.
Ettore Frani, Cattedrale, 2013
80x65 cm
courtesy L'Ariete artecontemporanea, Bologna
ArtVerona pad. 11, stand F7
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Eliseo Mattiacci, Camera Spaziale
95x36x36 cm
courtesy Lara & Rino Costa Arte Contemporanea, Valenza (AL)
ArtVerona pad. 10, stand D8
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Bruno
Munari, Alta
Tensione,
1990
legno,
corda e fili di lana, 90x43x31 cm
courtesy
Lara & Rino Costa Arte Contemporanea, Valenza (AL)
ArtVerona
pad. 10, stand D8
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A una terza matrice va invece ricondotta la riflessione sulla disgregazione "metafisica", prima che reale e immanente, della verticalità, ora incarnata in istituzioni e gerarchie visibili, ora invece puramente concettuale. Molti artisti sembrano interessati a questa obsolescenza, a questa progressiva usura o improvvisa disgregazione dell'asse verticale, il quale tuttavia continua a vigere non più e non solo come telos, ma soprattutto come medium. Il crollo del World Trade Center, che con la sua estrema e azzardata verticalità ben rappresentava il cuore pulsante dell'unica autorità universale e che ormai sopravvive soltanto su un piano puramente immaginario, rivive nelle sensazioni generate dalla serie Torri Gemelle di Corrado Ambrogio. Daniele Girardi evoca invece un rogo sui generis di libri (The Great Valley Project, 2013), supporto della scrittura e quindi metafora par excellence dell'alta cultura istituzionalizzata, un momento particolarmente significativo nella caduta delle gerarchie intellettuali. La medesima disgregazione è presentata da Rolando Deval (Fall, 2013): la sua verticale di ferro assume le forme suadenti di una fiamma che, salendo dal basso, brucia, ossida, corrode e deforma se stessa fino a rendersi irriconoscibile. La Coscienza del tempo (2009) disegnata da Francecso Avesani mostra il grandioso e insieme lacerante abbandono nonché la trascuratezza di una scala, tipica struttura di raccordo tra piano superiore e piano inferiore.
Corrado Ambrogio, Torri Gemelle courtesy Carena&Capato Art Gallery La Luna, Borgo S. Dalmazzo (CN) ArtVerona pad. 10, stand D14-E13 |
Daniele Girardi, The Great Valley Project, Sketch Life Books
tecnica mista su Moleskine, 40x40,90 cm
courtesy l'artista e La Giarina Arte Contemporanea, Verona
ArtVerona pad. 11, stand G1
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Rolando Deval, Fall, 2013
ferro
courtesy Galleria Alessandro Bagnai, Firenze
ArtVerona pad. 11, stand G8
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Francesco Avesani, La Coscienza del Tempo, 2009 matita su carta, 248x148 cm courtesy Galleria Spazio6, Verona ArtVerona pad. 10, stand E14 |
Infine,
la verticalità può essere una tensione costruttiva e positiva al
miglioramento di sé attraverso esercizio indefesso. Ma avere a che
fare con l'ascesa, con il movimento lungo l'asse verticale, ossia con
la faticosa salita o la spericolata discesa, non è agevole. Richiede
una dose di acrobaticità e dinamismo non indifferente, nonché la
decisione di affrontare un rischio, talvolta mortale, un rischio
tanto più elevato, appunto, quanto più in alto si sale. Ascendere
acrobaticamente è il tema di un gruppo di opere contraddistinte
dalla presenza di una o più scale: quelle sovrapposte, sulle quali è
arrampicato il boscaiolo di De Molfetta; quella esilissima e delicata di Fausto Melotti, un Preludio (1980) forse a un nuovo mondo; le scale a pioli aggrappate
a case fatiscenti, anch'esse accatastate l'una sull'altra e in
procinto di crollare, disegnate a carboncino da Luis Israel
Gonzales Sosa, che trasformano in un gesto estremo anche la semplice decisione di cambiare stanza. In tutte le opere
domina il tema della precarietà, dell'incertezza, della necessaria
dose di rischio da correre per poter salire, caratteristiche di
un'antropologia ben raffigurata dalla scultura assemblata ready-made di Federico Lanaro (2013).
Pur appartenendo a periodi diversi, sia
le piramidi umane rappresentate nelle sculture di Roberto Barni (2001) sia
il dipinto di Massimo Campigli (1939-1948), con le sue figure femminili
sovrapposte dalla allure archeologica, sembrano assurgere a perfetti
simboli della contemporaneità e degli sforzi funambolici che
l'attuale crisi globale impone: la crescente scarsità di risorse ci
relega infatti, come ignari equilibristi, nella dimensione puramente
verticale e obbliga ormai tutti a una vita creativa e sostanzialmente
circense.
Francesco De Molfetta, Albero
carta e modellino, 29x20 cm
courtesy Art Forum Arte Contemporanea
ArtVerona pad. 11, stand I11
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Fausto Melotti, Preludio VI*, 1980 ottone nichelato 40x16x16,5 cm courtesy Galleria Tonelli, Milano ArtVerona pad. 10, stand B1 |
Luis Israel Gonzales Sosa, Ultimi Giorni di una Casa carboncino su tela, 130x70 cm courtesy Isolo 17, Verona ArtVerona pad. 11, stand L18 |
Federico Lanaro, Di Senso Compiuto, 2013
courtesy Studio d'Arte Raffaeli, Trento
ArtVerona pad. 11, stand F5
|
Roberto Barni, Impresa, 2001 bronzo, 105x76x24 cm courtesy Galleria Alessandro Bagnai, Firenze ArtVerona pad. 11, stand G8 |
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